D’accordo. Bisognerebbe rottamarli, distruggerli, eliminarli dal mondo del percepibile, e se possibile anche dagli altri mondi.
D’accordo. Bisognerebbe rottamarle, distruggerli, eliminarli dal mondo del percepibile, e se possibile anche dagli altri mondi. Ce ne sono troppi e continuano a moltiplicarsi. Invece di farne dei nuovi prendiamo i vecchi e diamogli nuova vita, come dire: ricicliamoli.
Non si può, non avrebbero senso.
I Marchi sembrano incontenibili, ogni giorno ne nascono di nuovi, fatti in casa, dal vicino di casa, dall’amico che sa disegnare bene, da chiunque sia alfabetizzato alla gestazione dei segni. E oggi le opere – d’arte – nell’epoca della riproducibilità tecnica – quasi automatizzata– sono ancora più semplici da realizzare, alla portata di un’App. Almeno così sembra.
Quindi queste impronte, immagini, emblemi, nascono già svalutati. Non sono né rari, né irraggiungibili, né di cili da produrre o da riprodurre; dov’è quindi il loro valore, il senso che ne definisce uno status?
È lì il bello, nel pensare, progettare, disegnare segni che siano contenitori potenziali di senso, ed è lì il difficile per chi si impegna nella disciplina del graphic design, nel cercare di proiettare in un seme le potenzialità di sviluppo di un albero con fronde, tronchi e rami.
Un marchio in sé non è e non sarà mai un albero, ma ne conterrà la potenzialità, la memoria, alle volte ne determinerà la persistenza. Un marchio non è la marca, come una pera non è un pero, o una cellula non è una vita. Ma come la vita o il pero, la marca senza la propria origine, ovvero il marchio, non si rivela.
Per questo continuano a nascerne di nuovi. Perché molte attività cercano il loro terre- no di coltura, e in quest’accezione
dire di cultura – di marca – è del tutto pertinente.
I marchi, i logotipi, nelle diverse forme e categorie che possiamo elencare sono comunque nuclei d’individualità. Sono segni d’identità, definiscono le diversità, denota- no e immediatamente connotano le singolarità. In quanto forme – estetiche – sollecitano i nostri sensi e ci dicono se stiamo entrando in un mondo di massa, o in un’area specialistica, o elitaria. Sono parti di una lingua, non sempre globale, spesso convenzionale, ma sempre necessariamente rivolta a un Altro. La marca inoltre ha bisogno di altre marcature sensoriali, visive, uditive, tattili, gustative attraverso le quali guidare il percorso narrativo e dialogare con le Persone che, come ben sappiamo, sono le uniche vere proprietarie delle brand. Il marchio è dunque la firma, sigilla e garantisce il valore della brand.
I marchi sono un’esercizio di eccellenza del progetto grafico, richiedono perizia, competenze in lettering, talento nel disegno, consapevolezza nel design.
I marchi sono un’esercizio di eccellenza del progetto grafico, richiedono perizia, competenze in lettering, talento nel disegno, consapevolezza nel design. Possono nascere da un’intuizione, e sono il risultato visuale di un percorso interiore ricco di esperienze accumulate, o possono svilupparsi attraverso un processo scientifico e ne sono la diretta conseguenza: in ogni caso sono simboli che tendono ad unire concetti. Questi marchi saranno determinanti per la diffusione e riconoscibilità della brand, saranno la sua metonimia, in poco ci sarà tutto – o quasi – e quel poco sarà un comodo dispositivo per essere riconosciuti, il segno famigliare di fiducia e buona reputazione.
Nelle slide che riportiamo, ci sono molti marchi, logotipi, segni distintivi. Rea- lizzati per prodotti, eventi, associazioni, individui. Ci sono esercizi di redesign, new design, logotype, mascotte. C’è in tutti i casi, un percorso invisibile ma fondamentale, di definizione di obiettivi, funzioni e significanti. E poi c’è il gioco, puramente visivo, di realizzare forme che hanno tutte il desiderio di essere moltiplicate infinite volte, per essere positivamente ricordate.
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